domenica 29 ottobre 2017

INTERVENTO SERGIO BOLOGNA

Trieste-mondo, Trieste-Europa, Trieste-Italia

dal punto di vista del porto   

Il porto è un importante nodo di una filiera globale, quella che viene chiamata anche nei documenti dell’ILO The Global Supply Chain. (1)

Il lavoro portuale rientra quindi nell’universo di mercato della logistica. Questo mercato oggi, a livello mondiale, è scosso sempre più da duri conflitti nei quali si scontrano da un lato istituzioni e imprese e dall’altro i lavoratori. La maggioranza di questi conflitti riguardano non tanto le retribuzioni quanto i rapporti di lavoro, il tipo di contratti, gli orari di lavoro, la disciplina, i rischi (tutti aspetti ovviamente che hanno dei risvolti salariali). 


Alcuni esempi delle ultime settimane. I sindacati tedeschi Ver.Di. hanno bloccato per due volte sei piattaforme Amazon su nove in Germania perché la multinazionale USA non accetta la proposta di contratto; in Francia un durissimo scontro tra i camionisti e il governo Macron, che ha schierato ingenti forze di polizia, si è concluso con  un “pari”, il governo non ha ritirato i suoi provvedimenti contro i quali scioperavano i camionisti ma ha concesso aumenti salariali e miglioramenti normativi; Atlas Air, la più grande compagnia aerea mondiale che lavora in subappalto per conto dei grandi carrier del cargo aereo è stata colpita da forme di protesta del personale che ha adottato la tattica di “rallentare il lavoro” senza scioperare, la compagnia ha chiesto l’intervento della magistratura; Ryanair ha dovuto cancellare centinaia di voli lasciando a terra circa 300 mila passeggeri per una disputa che oppone la direzione ai piloti; il sindacato europeo dei trasporti ha aperto una vertenza con IKEA per chiedere di fissare standard di qualità e sicurezza agli autisti in subappalto che lavorano per la multinazionale e le loro richieste stanno per essere accolte.

In Italia la situazione è del tutto particolare. Vale la pena spendere qualche parola di più: per circa vent’anni nelle piattaforme logistiche e nei magazzini la movimentazione è stata affidata a delle cooperative di produzione/lavoro composte in massima parte da immigrati; la gestione di queste cooperative non sempre è stata trasparente e corretta, anzi sono diventate pian piano centri di illegalità (evasione fiscale, non pagamento dei contributi, mancata applicazione degli accordi collettivi, sfruttamento sempre più accentuato di una forza lavoro ricattabile, che veniva licenziata/riassunta a ogni cambio o rinnovo di appalto ecc.). Questo è avvenuto nell’indifferenza generale, nella passività delle istituzioni e talvolta con la complicità del movimento cooperativo e sindacale. Questa situazione è cambiata da quando i Cobas hanno cominciato a fare agitazione presso questi lavoratori, li hanno informati dei loro diritti, li hanno fatti scioperare. Oggi in molti magazzini anche di aziende importanti o multinazionali della distribuzione, i Cobas ottengono anche l’80% delle deleghe sindacali; forti di questo consenso da parte dei lavoratori, hanno iniziato un’intensa attività vertenziale che ha portato alla firma di decine di accordi ma al tempo stesso ha alzato moltissimo il livello di conflittualità del settore; l’esempio lo abbiamo sotto i nostri occhi, il 18 settembre i Cobas – ci sono tante sigle e non sempre in accordo tra di loro – hanno iniziato una vertenza con la SDA, la società che fornisce il servizio di corriere espresso alle Poste Italiane, bloccando la piattaforma di Carpiano. La vertenza è ancora in corso e, come ha dichiarato in Commissione parlamentare il suo AD, ha fatto perdere alla società il 50% dei suoi volumi.

Cosa ci dicono questi fatti? A) il settore della logistica è in ebollizione a livello europeo e non solo perché evidentemente si è tirata troppo la corda nei confronti del lavoro, i punti più sensibili sono trasporto e magazzinaggio, B) i lavoratori della logistica si stanno accorgendo di quale forza contrattuale possono disporre dato che gli effetti delle loro proteste possono essere devastanti, lo hanno scoperto e cominciano a prenderci gusto, C) il management delle imprese di logistica si sta dimostrando totalmente inadeguato a gestire questa cambiamento di clima, pensa ancora di aver a che fare con gente che accetta docilmente il peggioramento costante delle sue condizioni di lavoro, questo vale, più ancora che nei magazzini, per il trasporto su strada. E i porti?

I porti sono in questo panorama un’oasi felice, i porti italiani in particolare godono di una pace sociale che fa invidia anche ai porti del Nord; situazioni di degrado delle condizioni e dei rapporti di lavoro, come Trieste prima dell’arrivo di Zeno d’Agostino e di Sommariva, stanno ritrovando il loro equilibrio e ristabilendo condizioni di legalità, in altre situazioni, come nei porti di transhipment, il governo sta cercando di tamponare gravi crisi occupazionali. Sarebbe pertanto estremamente miope (oltre che grave) se degli operatori portuali adottassero dei metodi di gestione del lavoro portuale fornito dagli artt. 17 o dalle Agenzie o dagli interinali di Intempo, tali da suscitare la reazione da parte di lavoratori che si sentono poco rispettati ed ascoltati; sarebbe veramente grave se, considerando quello che succede, come abbiamo visto, nel mondo della logistica, qualcuno volesse, anche per pura incapacità gestionale, rompere la pace sociale che vige nei porti italiani, pace sociale che i lavoratori e le loro organizzazioni hanno intenzione di mantenere ma che comunque non è solidissima, perché i problemi si accumulano ogni giorno ed a crearli, come vedremo, non è soltanto il padronato ma anche il governo di Bruxelles. Una parola basta a farmi a capire: autoproduzione sui traghetti.

La politica europea

La politica della Commissione europea che riguarda il settore portuale ha subito le più clamorose e sonore sconfitte della sua storia. Avendo in due occasioni formulato delle Direttive, Port Package 1 e Port Package 2, riguardanti il finanziamento delle infrastrutture (aiuti di stato), i criteri di erogazione delle concessioni, le condizioni di utilizzo delle infrastrutture pubbliche (criteri per il pricing fondati sul principio chi consuma paga), l’accesso ai servizi tecnico-nautici e la regolamentazione del lavoro portuale – si è vista respingere dal Parlamento Europeo prima uno e poi l’altro dei due Package. La seconda volta, nel 2006 addirittura con una maggioranza schiacciante, 5 a 1.

Gran parte di questo smacco è stato attribuito alla resistenza ed al lavoro di lobbying dei sindacati. Quindi per aggirare l’ostacolo, la CE ha optato per una strada più soft, rinunciando ad emanare una Direttiva ed accontentandosi di un Regolamento. Ha condotto un’inchiesta sulle “inefficienze” del sistema portuale europeo con un questionario in cui tutti gli stakeholders potevano esprimere la loro opinione sui singoli temi e ha avviato un dialogo con i partners sociali, ESPO, FEPORT, ITF/ETF, IDC. Nelle more di questo processo (solo per stabilire chi si poteva sedere al tavolo del dialogo sociale ci sono voluti due anni) la Commissione Europea ha aperto delle procedure d’infrazione verso due paesi, il Belgio e la Spagna, perché i loro governi non avevano provveduto a una riforma dei regolamenti del lavoro portuale. Questi regolamenti, secondo la CE, erano congegnati in modo da violare una delle quattro fondamentali libertà sancite dal Trattato di Roma. Se i governi di questi paesi non fossero intervenuti per modificare le loro regole del lavoro portuale secondo le linee guida indicate dalla Commissione, sarebbero stati deferita alla Corte di Giustizia Europea, che avrebbe preso le opportune misure. Il governo belga ricevette la notifica del procedimento nell’aprile 2014, iniziò una serie di trattative con rappresentanti degli enti portuali, delle imprese e dei sindacati e raggiunse due anni dopo una soluzione di compromesso che fu presentato alla Commissione, la quale quest’anno, soddisfatta, ha deciso di considerare chiuso il procedimento. (2)

Anche il governo spagnolo ha cercato di venire incontro alle richieste della Commissione, scatenando la reazione dei lavoratori che sono scesi subito in agitazione, ma la sconfitta maggiore l’ha subita in Parlamento, dove nel maggio 2016 le sue proposte di legge sono state bocciate. Con la questione dell’indipendenza della Catalogna, vista l’importanza del porto di Barcellona, la situazione si complica, per ora dunque la Spagna resiste.

Ma, mentre si recitava questa commedia a livello istituzionale, il clima sociale – come si è detto – nella filiera della logistica e del trasporto collegato alla logistica, si faceva sempre più caldo, l’insofferenza dei lavoratori sempre più palese e quindi la posizione dei sindacati, da puramente simbolica e difensiva, diventava di maggiore resistenza anche se non ancora aggressiva. Oggi il sindacato europeo dei portuali chiama i lavoratori alla vigilanza nel caso la CE volesse tentare di far passare un Port Package 3. Ma perché il sindacato è così all’erta? Perché sta per aprirsi uno scontro di ben maggiori dimensioni a livello del trasporto stradale, sia passeggeri che merci, sul quale la Commissione Europea con a capo la signora Violeta Bulc intende far passare una linea politica che ha espresso nel documento chiamato “Mobility Package” (maggio 2017). 

Questo documento contiene 8 proposte riguardanti in gran parte le condizioni di lavoro ed i rapporti contrattuali degli autisti professionali di camion e di autobus. Non mi soffermo su questa questione ma immagino che tutti conoscano la situazione di mercato creata nell’autotrasporto internazionale dal dumping sociale dei paesi nuovi entranti, in particolare la Polonia. Su questo l’Unione si sta spaccando: da un lato nove paesi, tra cui l’Italia - che hanno visto distruggere gran parte delle loro piccole-medie aziende strutturate in seguito alla concorrenza dei camionisti polacchi, bulgari, romeni ecc. - chiedono il rispetto da parte di tutti, aziende straniere comprese, dei minimi contrattuali vigenti nei paesi in cui si effettua il trasporto. Dall’altra i paesi dell’est nuovi entranti che vogliono mantenere la situazione com’è oggi. Le scelte irresponsabili, di totale deregolamentazione del mercato del trasporto su strada compiute dalla CE stanno rendendo vani tutti gli enormi sforzi che si stanno facendo per rendere competitivo il trasporto ferroviario delle merci. Il sistema europeo, malgrado i nuovi trafori e le linee ad alta velocità, è estremamente fragile. Il caos seguito all’interruzione della linea ferroviaria che collega Italia, Svizzera, Germania e Benelux all’altezza di Rastatt in Germania ne è una dimostrazione evidente (v. la lettera aperta inviata alla Commissione e al Parlamento Europeo da una trentina di associazioni imprenditoriali e professionali della logistica e del settore ferroviario, intitolata: Rastatt desaster: let’s learn the lessons). Concludo questa seconda parte del mio intervento con lo stesso tipo di messaggio: attenzione che la situazione dei porti può diventare critica a seguito di conflitti che si producono in segmenti di mercato esterni ma appartenenti alla stessa supply chain. I camionisti, se vogliono, possono bloccare un porto nel giro di un’ora. Quindi, vista l’aria che tira in Europa, nei magazzini e nel trasporto, visto i contraccolpi che queste turbolenze possono avere nei porti, cerchiamo di evitare che nei porti si possano produrre situazioni di prolungata instabilità e ingovernabilità. I lavoratori mantengano il sangue freddo, ma la controparte non risvegli il can che dorme. Non va mai dimenticato che se si è arrivati a questa situazione ciò è dovuto al fatto che in molti segmenti di questo mercato della logistica le condizioni di lavoro sono intollerabili. Se nei porti questo non accade è perché resistono ancora dei sistemi di protezione sociale e di regole che impediscono alla situazione di degenerare.

La riforma portuale in Italia.

Per decenni le politiche della portualità ed in generale per il settore marittimo-portuale hanno affrontato in maniera molto scoordinata i problemi del lavoro e questo ha fatto sì che, in mancanza di una strategia generale a livello nazionale, una volta introdotta la privatizzazione secondo i criteri della legge 84/94, ogni porto si regolasse per conto suo. Quindi arriviamo al 2013/14/15 che la situazione nei vari porti presenta una tale diversità di situazioni e di soluzioni, che riesce difficile riprendere il bandolo della matassa. Ci sono compagnie portuali che esistono solo sulla carta, completamente estromesse dal ciclo lavorativo, esistono cadaveri insepolti di compagnie, esistono situazioni, come quella di Genova, dove la Compagnia da 7.000 soci che aveva alla fine degli Anni 70 è ridotta a meno di mille ma fornisce circa il 50% delle ore lavorate nel porto ed in alcuni terminal, come il VTE, uno dei più efficienti e attrezzati terminal del Mediterraneo, la sua presenza è del tutto indispensabile nelle operazioni di routine, mentre nei picchi di lavoro è costretta essa stessa a ricorrere all’interinale di Intempo in misura massiccia. L’arrivo del Ministro Delrio, la creazione dell’Unità di missione incaricata di redigere un nuovo Piano delle infrastrutture, il lancio di un nuovo Piano dei porti, consentono finalmente di rimettere al centro la questione del lavoro. In concreto: si cominciano a raccogliere le informazioni di base, che mancavano, sul lavoro, si cerca di stabilire il numero esatto delle persone che lavorano nei porti, si cominciano a censire le caratteristiche ed i contratti degli artt. 16, si comincia a guardare dentro agli art. 17, si costituiscono le Agenzie del Lavoro là dove la situazione, come a Trieste per esempio, era stata lasciata andare verso un lento ma inesorabile degrado, oppure là dove, come nei porti di transhipment, si profilano crisi occupazionali gravi. E finalmente si presenta un decreto nel quale vengono affrontati diversi problemi: quello delle persone inidonee a causa di incidenti e infortuni, quello degli organici delle Compagnie, quello della formazione. La CE non ha aperto finora procedure d’infrazione nei confronti dell’Italia, quindi il nostro governo non si sente braccato dalla UE, può procedere con un minimo di tranquillità e si muove comunque non nella direzione auspicata da molti terminalisti ed armatori, cioè di una completa deregolamentazione e liberalizzazione del mercato del lavoro – politica che tanti disastri ha portato nel mondo dell’autotrasporto – ma verso una politica che tenta di sanare situazioni pregresse di crisi ma soprattutto tenta di guardare in avanti con dei provvedimenti a favore della formazione, finanziabile ora anche dalle AdSP. La parte padronale risponde con forti pressioni per aumentare la produttività, in modo da avere le medesime rese con meno uomini, in alcuni casi con una pressione pura e semplice sui lavoratori, in altri casi, come al VTE di Genova, puntando molto sugli incentivi. Oppure facendo terrorismo sulle prospettive apocalittiche riguardo l’automazione. Da parte degli armatori con flotte RoRo, che sappiamo quanto importanti sono per la portualità italiana, continua la pressione per ottenere l’autoproduzione. Qualche Presidente di porto, credendo di fare il furbo e di sottrarre traffico al porto vicino, si presta. A Trieste questo è un punto imprescindibile, gli armatori se lo tolgano dalla testa. Un punto chiave di questa parte delle riforma portuale riguarda il cosiddetto articolo 15 bis, cioè la facoltà concessa alle AdSP di utilizzare parte dei proventi delle tasse sulla merce per venire in soccorso alle Compagnie che versano in gravi difficoltà di bilancio. In un primo tempo questo intervento veniva condizionato a una riduzione dell’organico del 5%, poi si supera questo vincolo e si introduce invece un elemento che può essere di grande interesse, il Piano dell’organico portuale, che può essere adottato dalle Autorità di Sistema dopo una consultazione con tutti i principali attori. 

Consiste nella previsione di un fabbisogno di mano d’opera formulata sulle base delle tendenze del mercato, dei piani d’impresa, del turn over derivante da pensionamenti, delle risorse in essere presso le organizzazioni di lavoro temporaneo, della presenza di artt. 16 ecc., in modo da poter formulare anche dei piani di formazione e riqualificazione dei lavoratori. Le Autorità di Sistema possono adottare questi Piani della durata di tre anni. La riforma portuale è stata stoppata però dal Ministero dell’economia – sembra - preoccupato della spesa che avrebbero comportato le misure sull’accompagnamento all’esodo degli inidonei, oltre a quelle per gli interventi straordinari nei porti di transhipment in crisi. Il Ministro Delrio sembra però intenzionato ad andare avanti, come ha dichiarato di fronte alla Commissione Lavori Pubblici del Senato. E qui mi permetto di formulare un auspicio. Che l’adozione di queste misure da parte del governo, con il consenso del Parlamento, possano finalmente consentire di impostare nei porti una politica delle risorse umane di profilo manageriale e non un’improvvisazione senza senso dove, da un lato si affronta il discorso dell’organico giorno per giorno e dall’altra si trascura la formazione, avendo sempre come obbiettivo una flessibilità a basso costo. E’ ovvio che questi Piani possono avere successo dove c’è una governance che si assume le sue responsabilità verso i lavoratori, dei terminalisti che sono degli imprenditori e non dei parassiti seduti su rendite di posizione e dei lavoratori ben organizzati sul piano sindacale. 



Sergio Bologna







(1)  l'autore ha preferito mettere in linea il testo, dopo aver letto le dichiarazioni del Ministro Delrio davanti alla Commissione LLPP del Senato

(2) Nei porti belgi opera un pool di mano d’opera, ad Anversa sono più di 6 mila i portuali registrati nel pool, oltre a un migliaio di lavoratori della logistica; la CE chiedeva di escludere dal Registro i lavoratori della logistica, quindi per loro i terminalisti ora possono ricorrere al libero mercato; inoltre aveva chiesto di liberalizzare la formazione, che finora è stata fatta esclusivamente da una scuola portuale dotata di grandi mezzi (simulatori ed altro) ed ha raggiunto un’eccellente qualità, tanto da fare formazione e assistenza alla formazione in giro per il mondo. Il terzo punto riguardava la composizione delle gang ed il ruolo dei foremen, che in ciascun porto belga sono fissati nel Codex (insieme di regolamenti sull’organizzazione del lavoro che ciascun porto ha concordato con i sindacati e i terminalisti).

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